14.4.06

 

Approfondimento

Libro Bianco: verso una politica europea di Comunicazione Pubblica
Newsletter n.9

Introduzione

L’entrata in vigore del Trattato di Maastricht (novembre 1993) ha da un lato rafforzato le competenze comunitarie in settori già affidati al livello europeo, dall’altro introdotto nuove forme di collaborazione in settori anche delicati come la politica estera e la giustizia. Le politiche e gli atti dell’UE investono direttamente aspetti della vita quotidiana dei cittadini europei, tuttavia l’Europa non è ancora riuscita a costruire collegamenti adeguati tra le istituzioni e i cittadini. L’evidente discrasia è stata compendiata dai politologi e dagli ambienti accademici nella formula del “deficit di democrazia” dell’UE. L’espressione sottende l’inadeguatezza dei meccanismi preposti a rendere responsabili le istituzioni UE verso i cittadini, attraverso la predisposizione di adeguate forme di controllo del loro operato, e la necessità di migliorare la comunicazione sull’Europa e l’accessibilità ai documenti.
La complessità del problema è stata confermata dai referendum francese e olandese che hanno rinviato sine die la ratifica del “Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa”. I cittadini percepiscono l’UE come un apparato burocratico distante dalle loro esigenze e ritengono di avere scarsa influenza sui processi decisionali. La concentrazione del dibattito politico su tematiche nazionali durante le campagne elettorali per le elezioni dei rappresentanti al Parlamento Europeo aggrava ulteriormente il problema. La Commissione Europea ha già affrontato il tema della comunicazione con un Piano d'Azione che prevede una serie di misure finalizzate al miglioramento della comunicazione tra l’Europa e i suoi cittadini. Anche il "Piano D per la democrazia, il dialogo e il dibattito" , di recente adozione ha l’obiettivo di coinvolgere i cittadini in un dibattito sulle priorità e sul futuro dell’UE.
In quest’ottica si innesta l’idea del Libro Bianco una politica europea di comunicazione per stimolare un processo di consultazione transnazionale tra istituzioni comunitarie, nazionali e locali, operatori di settore e cittadini che terminerà con l’adozione di un programma strategico che coinvolga i vari livelli di governo in una prospettiva di lungo periodo e in base ad un approccio innovativo.

Strategie e contenuti del Libro Bianco

La comunicazione è un punto nodale per forgiare forme sostanziali di democrazia partecipativa. La Commissione Europea individua la necessità di una biunivocità della comunicazione. Finora l’UE si è limitata ad informare i cittadini sulle istituzioni e sulle politiche mentre sono falliti i (deboli) tentativi di far partecipare l’opinione pubblica europea al dibattito politico. I meccanismi di consultazione esistenti sono limitati a specifiche iniziative politiche e sono ignoti alla maggior parte dei cittadini europei. L’obiettivo è strutturare valide forme di dialogo permanenti e apprezzate con i cittadini. Pertanto, la Commissione ipotizza di fare della comunicazione una politica a pieno titolo e adottare un approccio decentrato sui cittadini. E’ necessario delineare i tratti di una sfera pubblica europea complementare alle analoghe sfere nazionali. Per raggiungere questo obiettivo bisogna eliminare gli ostacoli che restringono la partecipazione al dibattito politico europeo quali le barriere linguistiche e generazionali, il digital divide, la scarsa attenzione prestata da media e partiti politici a temi europei che non hanno effetti rilevanti sugli interessi nazionali. Mutuando dalla terminologia economica si potrebbe affermare che l’azione della Commissione si colloca in un “periodo congiunturale” alquanto sfavorevole, caratterizzato da un calo diffuso di interesse alla politica e alla vita pubblica da parte dei cittadini, testimoniato dai dati sulla partecipazione elettorale il cui trend è decrescente da circa due lustri in quasi tutti i paesi europei e indipendentemente dal tipo di consultazione elettorale.
La Commissione Europea individua cinque assi su cui deve concentrarsi l’azione istituzionale di promozione della comunicazione pubblica.
1) Definizione di principi comuni: La Carta europea dei diritti fondamentali sancisce la libertà di espressione e il diritto all’informazione quali valori fondanti della democrazia in Europa. La politica europea di comunicazione dovrà ruotare attorno a tre cardini prioritari: l’inclusione, la partecipazione e la diversità, intesa come rispetto delle differenze linguistiche, socio-culturali, politiche ed economiche. La Commissione suggerisce l’adozione di una carta europea o codice di condotta sulla comunicazione per incentivare un impegno comune e prodigato su base volontaria al rispetto delle sue disposizioni. Tuttavia è auspicabile che la carta non sia un mero contenitore di principi programmatici ma abbia aderenza alla realtà.
2) Coinvolgere i cittadini: è imperativo mettere a disposizione dei cittadini strumenti semplici per accedere alle informazioni e consentirne la partecipazione effettiva e interessata. Per raggiungere questo traguardo è necessario il rinnovamento dei sistemi nazionali di educazione civica, anche attraverso la creazione di reti transnazionali per lo scambio di buone prassi. Inoltre, occorre implementare programmi mirati a incoraggiare la partecipazione attiva e il dibattito pubblico sull’Europa nonché avvicinare i cittadini alle istituzioni potenziando l’e-government e la trasparenza della governance pubblica.
3) Collaborare con i media e impiegare le ICT: attualmente il rapporto tra le istituzioni comunitarie e i media è ambivalente. Gli sforzi dell’UE di rendere disponibili enormi moli di materiale informativo continuamente aggiornato sulle attività dell’Unione non hanno incrementato la trattazione di temi europei da parte della stampa e dei mezzi di comunicazione radio-televisivi. Solo le riunioni del Consiglio Europeo hanno una copertura mediatica notevole mentre le rimanenti attività comunitarie sono trascurate, anche per l’assenza di un sistema di media propriamente europeo. L’UE ha creato il sito internet più grande del mondo in cui sono disponibili impressionanti quantità di informazioni ma ciò non costituisce la panacea poiché è visitato soprattutto da operatori di settore e non dal “grande pubblico”. La Commissione propone azioni volte a diffondere le competenze sulle ICT, eliminare le disparità regionali in termini di accesso a internet e dare all’Europa un volto umano, ovvero rendere consapevoli i cittadini delle attività comunitarie che li coinvolgono direttamente e personalmente.
4) La comprensione dell’opinione pubblica europea: L’opinione pubblica europea ha un’eterogeneità complessa frutto delle differenze culturali, economiche e sociali tra gli Stati membri, acuite dall’allargamento del 1° maggio 2004.
La Commissione Europea dal 1973 ha attivato Eurobarometro, un complesso sistema di sondaggi per ascoltare l’opinione pubblica intorno a temi chiave con cadenza semestrale.
Le ipotesi al vaglio riguardano la revisione metodologica per affinare la qualità e l’utilità dei sondaggi e l’opportunità di istituire un opportuno Osservatorio dell’opinione pubblica europea.
5) La cooperazione: La cooperazione tra istituzioni comunitarie, Stati membri, autorità regionali e locali, organizzazioni della società civile e partiti politici è un elemento imprescindibile per lo sviluppo di una “sfera pubblica europea”. La sinergia operativa dei diversi livelli di governo deve avvenire su base di complementarietà e attraverso lo sviluppo di reti che consentano di “fare sistema” e rendere le iniziative organiche e coerenti al quadro strategico di riferimento. La Commissione sottolinea l’importanza delle autorità locali, che attuano molti dei programmi comunitari, per la maturazione nella società civile di un dibattito politico pubblico su temi europei. A questo proposito i partiti dovrebbero compiere sforzi maggiori di quelli posti in essere fino ad oggi per introdurre l’Europa nell’agenda dei dibattiti dei loro iscritti.

Conclusioni
Maastricht ha introdotto un’innovazione epocale, rimasta finora simbolica e impercettibile ai più, ovvero la cittadinanza europea. Il complesso di diritti e di doveri che scaturiscono da questo concetto fondamentale comprendono, tra gli altri, il diritto all’informazione e il diritto alla partecipazione attiva agli affari pubblici. L’inizio della rivoluzione del digitale obbliga a una revisione degli obiettivi e delle strategie di informazione delle autorità pubbliche. L’Europa si appresta a definire una politica di comunicazione basata su una serie di principi fondamentali: reciprocità, semplicità, coinvolgimento e cooperazione. Non è sufficiente informare i cittadini sulle attività e le politiche dell’UE ma è decisivo fornire l’accessibilità, ovvero il “kit” di strumenti e informazioni minime per rendere la partecipazione dei cittadini al dibattito pubblico una realtà e non semplicemente un principio programmatico previsto dalle carte dei diritti.
La creazione di una rete di attori europei dei vari livelli di governo per la realizzazione di un programma con obiettivi condivisi e fondato su azioni mirate, complementari e sincrone è la strategia da cui è ragionevole attendersi i risultati più significativi.

31.3.06

 

Approfondimento

Le conclusioni del Consiglio Europeo di Primavera
Newsletter N.8

Introduzione
Il 23-24 marzo si è svolto a Bruxelles il Consiglio Europeo di Primavera, appuntamento divenuto ormai istituzionale e incentrato sulla verifica dei progressi verso il raggiungimento degli ambiziosi obiettivi fissati dalla Strategia di Lisbona. Durante il vertice sono stati trattati altri temi di grande attualità, quali l’adozione di una politica energetica europea e questioni economiche (approfondimento del mercato interno, coesione sociale e solidarietà, sostenibilità della crescita nel lungo periodo).

Strategia di Lisbona
Nel marzo del 2005 il Consiglio Europeo di Primavera aveva rilanciato la Strategia di Lisbona allo scopo di coordinare le riforme nazionali nel quadro di riferimento tracciato dalla Strategia europea per lo sviluppo sostenibile. L’accordo sulle prospettive finanziarie per il 2007-2013, raggiunto dal Consiglio Europeo nel dicembre 2005 sebbene a seguito di estenuanti trattative, rappresenta un ulteriore passo avanti nell’assicurazione dei mezzi necessari al raggiungimento dei targets di Lisbona. I programmi di riforma nazionali (PNR) presentano molteplici punti di convergenza e possono fungere da trampolino per l’adozione di riforme strutturali in linea con i vincoli macroeconomici previsti dal riformato Patto di Stabilità e Crescita. Nonostante il diverso livello di ambizione, i PNR consentono di verificare il mantenimento degli impegni assunti da parte degli Stati membri. Il Consiglio Europeo ha confermato la validità delle Linee guida integrate per la crescita e l'occupazione (2005-2008) concordate nel marzo 2005 quale intelaiatura di riferimento alle misure da adottare. Il passo successivo sarà la loro concreta messa in atto, orientata soprattutto alla competitività e alla rimozione degli ostacoli all'accesso ai mercati. Gli Stati membri dovranno impegnarsi a coinvolgere maggiormente i parlamenti nazionali, le autorità regionali e locali, le parti sociali e la società civile. Ma è di fondamentale importanza anche il coinvolgimento diretto dei cittadini, finalizzato alla comprensione della strategia e delle sue finalità. In particolare il Consiglio europeo chiede agli Stati membri di presentare una relazione sulle misure di attuazione dei Programmi nazionali di riforma entro l'autunno del 2006 e alla Commissione di vigilare sulla loro concreta messa in atto.

Le strategie nazionali dovranno focalizzarsi su tre settori prioritari d’azione:

a) formazione e innovazione: il Consiglio Europeo ribadisce l’impegno degli Stati membri a dedicare entro il 2010 una quota del 3% del PIL ad attività di ricerca e sviluppo (R&S) sia incentivando l’attività di ricerca delle grandi imprese private con agevolazioni fiscali e creditizie sia investendo una percentuale maggiore della spesa pubblica in ricerca e sviluppo. La rapida approvazione del settimo “Programma quadro europeo per la ricerca e sviluppo” e del nuovo “Programma per la competitività e l’innovazione” configura una piattaforma politico programmatica comune, fungibile all’individuazione di priorità e strategie operative. Il Consiglio Europeo auspica un legame più stretto tra il campo della ricerca e il settore industriale per facilitare l’effettività e l’applicazione immediata ai processi produttivi delle scoperte del mondo scientifico. A questo scopo è necessario frenare la “fuga dei cervelli” stabilendo invero le condizioni per spingere i giovani più brillanti verso la carriera di ricercatore, anche attraverso incentivi di natura economica, e incrementare la mobilità geografica e settoriale. Infine il Consiglio accoglie con interesse la proposta della Commissione Europea di creare un Istituto Tecnologico Europeo (EIT) per un’azione di sistema, lo sfruttamento delle economie di scala tipiche della ricerca scientifica e il rafforzamento del triangolo tra formazione - ricerca – innovazione. Le politiche della formazione sono fondamentali perché, anche se non garantiscono un ritorno economico immediato, consentono di ottenere nel lungo periodo benefici che superano i costi sostenuti per la loro implementazione.

b) dispiego del potenziale imprenditoriale: l’internazionalizzazione e le riforme strutturali devono essere la base delle strategie nazionali per il miglioramento della competitività non tralasciando tuttavia la dimensione sociale e i bisogni individuali. Il Consiglio Europeo riconosce il ruolo cruciale delle PMI, ossatura dell’economia europea, per accrescere i livelli occupazionali e, nel tentativo di instaurare un clima favorevole, impegna gli Stati membri a trasporre rapidamente le direttive comunitarie specifiche per consentire agli agenti economici di beneficiare del mercato unico. La creazione di nuove PMI e il consolidamento di quelle esistenti esige provvedimenti quali sgravi fiscali, riduzione dei costi di start-up e dei tempi di avviamento (l’obiettivo è consentire la nascita di una nuova impresa in una settimana entro la fine del 2007), sviluppo delle capacità imprenditoriali, accesso facilitato al credito e ai finanziamenti dei programmi comunitari e l’emendamento della normativa sugli aiuti di Stato a favore delle PMI che dovrebbe peraltro rendere il mercato comune più attraente per gli investimenti diretti esteri (IDE).

c) aumentare le possibilità occupazionali: le riforme del mercato del lavoro adottate dagli Stati membri nel corso di questi anni stanno iniziando a dare dei frutti ma è necessario aumentare il tasso di partecipazione al mercato del lavoro di categorie deboli e svantaggiate come giovani, donne, immigrati e disabili. Per conseguire questo obiettivo è doverosa una stretta e proficua collaborazione con le parti sociali allo scopo di sviluppare strategie integrate e onnicomprensive con il metodo della concertazione e del dialogo. Il Consiglio Europeo sottolinea l’importanza di spingere sull’acceleratore nella Strategia Europea per l’Occupazione (SEO) aumentando il grado di flessibilità delle imprese e dei lavoratori, diffondendo il concetto della formazione continua, modernizzando i sistemi sociali e pensionistici, attirando potenziali inoccupati nell’orbita del mercato del lavoro e investendo risorse crescenti in capitale umano. Particolare attenzione è stata dedicata alle modalità con cui contrastare il fenomeno della disoccupazione giovanile. E’ stata confermata la volontà di ridurre entro il 2010 il tasso di precoce abbandono scolastico e quello di disoccupazione dei giovani non qualificati attraverso l’offerta di contratti di apprendistato entro tempi rigidamente contingentati e definiti. Per evitare il collasso dei sistemi pensionistici è stata concordata la realizzazione di incentivi per indurre i lavoratori in età pensionabile a rimanere sul posto di lavoro per alcuni anni in più e ad attuare un ritiro graduale dall’attività lavorativa, magari anche attraverso forme di part-time. L’obiettivo di una maggiore partecipazione delle donne al mercato del lavoro può essere perseguito con il coordinamento tra le politiche per la promozione delle pari opportunità e le politiche del lavoro, favorendo un equilibrio sostenibile tra lavoro e famiglia, combattendo le discriminazioni economiche di genere nel mondo del lavoro con riferimento ai principi fondamentali sottesi alla Roadmap per le pari - opportunità recentemente pubblicata dalla Commissione. Infine, i capi di Stato e di Governo hanno posto l’accento sull’esigenza di uno sviluppo sistematico dei Programmi di Riforma Nazionali sulla base della cosiddetta “flexycurity” ovvero di un rinnovato equilibrio tra flessibilità e sicurezza sociale, base per ottenere un’economia competitiva sui mercati internazionali e capace di sostenere la concorrenza estera ma anche attenta ai bisogni dei soggetti individuali.

Verso una politica energetica comune?
La vulnerabilità energetica dell’economia dell’UE, la necessità di assicurare la sicurezza degli approvvigionamenti, le ricorrenti tensioni dei prezzi internazionali dei prodotti energetici e la recente adozione da parte della Commissione Europea del Libro Verde sull'Energia hanno indotto i capi di Stato e di Governo a prospettare l’ipotesi di una maggiore armonizzazione delle strategie nazionali di rifornimento energetico. Il Consiglio Europeo ha infatti accolto con entusiasmo l’iniziativa della Commissione di avviare un processo di consultazione in materia e le ha dato il mandato di proseguire in questa direzione identificando rapidamente i passi successivi per rendere effettive le priorità programmatiche individuate dal Libro Verde. Gli obiettivi principali sono la creazione di un mercato comune europeo dell’energia elettrica e del gas, ridurre i consumi energetici complessivi, aumentare la proporzione di energia proveniente da fonti rinnovabili e in particolare dalle biomasse. Il Consiglio europeo chiede che, sulla base del Libro verde di recente adottato dalla Commissione, si dia vita a una politica energetica europea, che miri a una reale politica comune, alla coerenza tra Stati membri e nelle diverse politiche e al pieno raggiungimento di tre obiettivi prioritari: la sicurezza dell’approvvigionamento, la competitività e la sostenibilità ambientale.

16.3.06

 

Approfondimento

Newsletter N. 7

Approfondimento
Il Piano D: uno strumento per rimettere in moto il processo d’integrazione europea?

Introduzione
Nell’ottobre 2005 la Commissione ha adottato il “Piano D per la democrazia, il dialogo e il dibattito”. Con l’elaborazione di questo documento la Commissione intende dare il proprio contributo, così come espressamente richiesto dai Capi di Stato e di Governo, al “periodo di riflessione” successivo all’esito negativo delle consultazioni referendarie francesi e olandesi sulla Costituzione europea.
Il Piano D rappresenta un tassello di una strategia complessiva elaborata dalla Commissione al fine di contribuire all’avvicinamento dell’Europa ai propri cittadini. A questo documento, infatti, si accompagnano il Piano d’azione relativo alla comunicazione sull’Europa e il Libro bianco sulla politica europea di comunicazione.

Il contesto di riferimento: i “no” alla Costituzione europea e il periodo di riflessione
Com’è noto, le consultazioni referendarie sulla ratifica del Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa, tenute in Francia e nei Paesi Bassi tra la fine di maggio e l’inizio di giugno 2005, hanno dato esito negativo. La mancata approvazione del testo costituzionale da parte di due Paesi fondatori ha determinato una crisi politico-istituzionale acuta, aprendo un periodo piuttosto incerto sulle prospettive del processo d’integrazione e sul futuro della Costituzione.
I Capi di Stato e di Governo, al termine della riunione del Consiglio europeo del 18 giugno 2005, hanno elaborato una dichiarazione sulla ratifica del Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa. In questa dichiarazione, dopo avere riaffermato il valore e gli obiettivi della costruzione europea e dopo avere preso atto dei “no” francesi e olandesi, i Capi di Stato e di Governo hanno lanciato un periodo di riflessione sul futuro dell’Europa, ammettendo sostanzialmente la possibilità di congelare il processo di ratifica in alcuni Stati membri. In particolare, i Capi di Stato e di Governo hanno precisato che tale periodo di riflessione è finalizzato a promuovere, con il supporto delle istituzioni comunitarie e specialmente della Commissione, lo svolgimento di ampi dibattiti all’interno degli Stati membri.
È questo il contesto nel quale è maturata l’iniziativa della Commissione relativa all’elaborazione del Piano D. Non si tratta di un tentativo per riportare l’attenzione sulla Costituzione europea, cercando di aggirare la volontà espressa dalla maggioranza dei francesi e degli olandesi, ma al contrario di un contributo alla realizzazione di una strategia che, attraverso un dibattito democratico con i cittadini europei e la società civile, riesca a fare uscire l’Unione dalla situazione di stallo in cui si trova.

Il contenuto del Piano D: obiettivi, destinatari, strumenti
Il principale obiettivo del Piano D e degli altri elementi della nuova strategia di comunicazione della Commissione europea è ripristinare la fiducia dell’opinione pubblica nei confronti dell’Unione europea. I sondaggi di opinione mostrano come, negli ultimi mesi, l’immagine dell’Unione europea nei confronti dei cittadini si sia progressivamente deteriorata, benché il consenso rispetto agli obiettivi generali del processo d’integrazione europea sia ancora largamente maggioritario. Alla luce di ciò, la Commissione ritiene fondamentale: da un lato, fare in modo che l’operato dell’Unione risponda meglio alle esigenze ed alle aspettative dei cittadini e, dall’altro, comunicare in maniera più accurata le scelte delle istituzioni europee al fine di evitare che queste rappresentino il “capro espiatorio” per decisioni impopolari che sono invece assunte dalle autorità nazionali.
Per quanto riguarda i destinatari delle iniziative, la Commissione chiarisce che non ci si può limitare a coinvolgere i gruppi più tradizionalmente interessati alle questioni europee, ma che al contrario risulta indispensabile assicurare la partecipazione ai dibattiti sul futuro dell’Europa della società civile, delle parti sociali, dei parlamenti nazionali e dei partiti politici. Particolare attenzione deve essere prestata, secondo la Commissione, al coinvolgimento dei mass media che troppo spesso si interessano di Europa solo attraverso la lente della politica nazionale. Un grande impegno deve, infine, essere posto allo scopo di assicurare il coinvolgimento dei più giovani nei dibattiti nazionali.
Nelle intenzioni della Commissione, la realizzazione del Piano D dovrà avvenire su un duplice versante: attraverso il sostegno ai dibattiti nazionali e attraverso iniziative a livello comunitario.
Per quanto riguarda i dibattiti nazionali, la Commissione sottolinea, anzitutto, che il suo ruolo sarà di sostegno e di complemento alle autorità nazionali. In secondo luogo, chiarisce che l’impostazione delle iniziative intraprese negli Stati membri potrà e dovrà variare a seconda delle specifiche esigenze, adattandosi anche alle specificità regionali e locali. Ad ogni modo, il Piano D propone alcune tematiche su cui la riflessione potrebbe essere condotta in via prioritaria:
- Lo sviluppo economico e sociale dell’Europa;
- I sentimenti nei confronti dell’Europa e i compiti dell’Unione;
- Le frontiere dell’Europa e il suo ruolo del mondo;
Rimane comunque centrale, nella strategia del Piano D, che le discussioni e le riflessioni nazionali siano incentrate sulle politiche dell’Unione europea, sui benefici degli interventi europei e su cosa viene concretamente fatto per affrontare e risolvere i problemi particolarmente sentiti dai cittadini: dall’occupazione alla lotta al terrorismo, dall’ambiente alle politiche energetiche.
La Commissione prevede inoltre che i dibattiti nazionali, per risultare davvero efficaci, debbano essere strutturati in modo da ottenere indicazioni chiare sulle esigenze e le priorità dei cittadini. Si richiede dunque agli Stati membri di presentare alla Commissione ed alla Presidenza del Consiglio un resoconto sintetico dei risultati derivanti dai dibattiti nazionali. Un primo momento di riflessione sui risultati dei dibattiti nazionali sarà rappresentato dalla Conferenza sul Futuro dell’Europa che la Commissione organizzerà il 9 maggio 2006, Giornata dell’Europa.
Per quanto riguarda le iniziative da realizzarsi a livello comunitario, la Commissione formula, all’interno del Piano D, una serie di proposte concrete che vanno dall’organizzazione di visite dei Commissari negli Stati membri e specialmente di dibattiti nei parlamenti nazionali all’apertura al pubblico delle rappresentanze della Commissione, dal ricorso ai centri “Europe Direct” per realizzare eventi a livello regionale e locale alla nomina di “Ambasciatori europei di buona volontà” sul modello di quanto fatto dalle Nazioni Unite.
Accanto alle iniziative volte alla informazione e alla sensibilizzazione dei cittadini sulle tematiche europee, il Piano D affronta – anche se in maniera sintetica e non molto innovativa – il problema di come garantire una partecipazione più ampia al processo democratico europeo. In questo contesto, la Commissione si limita a ribadire l’impegno a realizzare ampie consultazioni sulle proprie proposte con le autorità regionali e locali, nonché con le organizzazioni della società civile. Viene affrontato, inoltre, il delicatissimo tema della scarsa trasparenza del processo decisionale europeo; a questo riguardo la Commissione non fa altro che prendere atto della riforma progettata – ma non realizzata – dal Consiglio europeo di Siviglia. In base a questa riforma, il Consiglio, quando opera in veste di co-legislatore insieme al Parlamento europeo, dovrebbe svolgere pubblicamente i propri lavori.
Deve infine essere messo in evidenza che la Commissione, consapevole del fatto che un programma di iniziative sul futuro dell’Europa non potrebbe essere realizzato a “costo zero”, prevede di stanziare sei milioni di euro per la messa in opera, nel corso del 2006, del Piano D.

Conclusioni
Il Piano D della Commissione rappresenta certamente, soprattutto se visto come un tassello di una più strategia di comunicazione politica, un elemento di novità significativo nella situazione di stallo seguita ai “no” francese e olandese. È indubbio, infatti, che comunicare meglio l’Europa e avvicinare l’Unione ai cittadini siano obiettivi prioritari su cui investire nel medio-lungo periodo. C’è da domandarsi, comunque, se la Commissione non dovrebbe, nel suo ruolo di “motore” del processo d’integrazione, elaborare anche proposte operative di segno istituzionale e tecnico-giuridico al fine di “salvare” almeno le innovazioni più significative su cui, nel corso del processo che ha condotto alla conclusione del Trattato costituzionale, era maturato un ampio consenso.

3.3.06

 

Approfondimento

Newsletter N.6

Approfondimento
La Direttiva “Bolkestein” sulla liberalizzazione dei servizi: verso l’approvazione definitiva?

Introduzione
Il 16 febbraio 2006 il Parlamento europeo, nel corso della sessione plenaria svoltasi a Strasburgo, ha approvato in prima lettura, apportando però numerosi e significativi emendamenti, la proposta di direttiva sulla liberalizzazione dei servizi nel mercato interno detta “Bolkestein” dal nome del commissario europeo responsabile della sua elaborazione.
La proposta di direttiva in questione, licenziata dalla Commissione nel febbraio 2004, ha sollevato un ampio ed approfondito dibattito in seno alle istituzioni europee e nazionali, alle parti sociali ed alla società civile. L’iter per l’approvazione finale della proposta, che dopo l’approvazione in prima lettura da parte del Parlamento deve tornare all’esame del Consiglio, potrebbe non concludersi in tempi brevi a causa della complessità della materia e della problematicità politico-sociale di molti suoi aspetti.
L’elaborazione della proposta di direttiva è avvenuta nel quadro dell’attuazione della Strategia di Lisbona e, in particolare, degli sforzi volti a rilanciare la crescita e la competitività dell’economia europea nella quale il settore dei servizi, com’è ben noto, riveste un’importanza fondamentale. In questo contesto, si è posta l’esigenza di un’azione a livello europeo volta alla liberalizzazione dei servizi; le valutazioni della Commissione hanno dimostrato, infatti, la persistenza di ostacoli nazionali ingiustificati rispetto al buon funzionamento del mercato interno nel settore in questione.

La proposta iniziale della Commissione europea
La proposta di direttiva originariamente formulata dalla Commissione riguarda ogni attività economica intesa come servizio (qualsiasi attività economica non salariata – vale a dire non legata al lavoro dipendente – che consiste nel fornire una prestazione dietro un corrispettivo economico), ma esclude esplicitamente alcune importanti categorie di servizi. Il suo scopo principale è di agevolare l’effettiva libera circolazione transfrontaliera di servizi, ad esempio abbassando i costi amministrativi delle operazioni.
Uno dei punti cruciali della proposta di direttiva è costituito dal principio del paese di origine, in base al quale il prestatore di servizi é sottoposto unicamente alla legislazione del paese in cui é stabilito e gli Stati membri non devono imporre restrizioni ai servizi forniti da un prestatore stabilito in un altro Stato membro. C’è da aggiungere che la proposta, così come inizialmente concepita dalla Commissione, prevede un lungo elenco di servizi a cui non sarà possibile applicare il principio del paese di origine. Solo per citarne alcuni, sono esclusi i servizi postali, la fornitura di gas, la distribuzione delle acque, nonché una serie di servizi già regolamentati da precedenti direttive.
La proposta di direttiva non incide direttamente sulla regolamentazione delle condizioni contrattuali e salariali previste dalla normativa precedente. La proposta di direttiva, infatti, rimanda esplicitamente alla direttiva sul distacco dei lavoratori, prefigurando quindi il mantenimento dei principi attualmente in vigore.

Le modifiche approvate dal Parlamento europeo
La proposta originaria della Commissione aveva sollevato forti critiche e preoccupazione da parte di larghi settori del Parlamento europeo che sottolineavano i rischi che la direttiva incidesse sui diritti sociali dei lavoratori e innescasse forme di dumping sociale generando una corsa al ribasso nel sistema delle tutele sociali. D’altronde la larga maggioranza dei parlamentari era consapevole della forte esigenza di un intervento comunitario per rafforzare la libera circolazione dei servizi anche in vista della ripresa dell’economia europea.
Dopo un lungo e difficile confronto, i due principali gruppi politici europei, il PPE e il PSE, hanno raggiunto un compromesso sulle modifiche da apportare al testo della direttiva. La sessione plenaria del Parlamento ha dunque approvato in prima lettura una proposta di direttiva profondamente modificata. Le principali innovazioni introdotte sono le seguenti.
- Viene limitato l’oggetto della direttiva chiarendo in maniera netta che ne sono esclusi i servizi pubblici sanitari, i servizi di interesse economico generale, le misure per tutelare o promuovere la diversità culturale o linguistica e il pluralismo dei media, i servizi nel settore dell’assistenza sociale. In questo contesto si chiarisce che la direttiva non pregiudica il diritto del lavoro e, in particolare, le disposizioni relative ai rapporti tra le parti sociali. Non si incide così sulla legislazione del lavoro (condizioni occupazionali, di lavoro, relative alla salute e sicurezza sul posto di lavoro);
- Si provvede ad allungare la lista delle eccezioni relative all’ambito di applicazione della direttiva escludendone, ad esempio, i servizi bancari, i trasporti, i servizi portuali, le agenzie interinali, i servizi medico-sanitari, i servizi audio-visivi, i servizi sociali come l’edilizia sociale, l’assistenza ai figli e i servizi alla famiglia;
- Si specifica in maniera ancora più netta rispetto alla versione originaria che la normativa comunitaria sul distacco dei lavoratori non viene pregiudicata dalla direttiva. Ciò vuol dire che le innovazioni della direttiva riguardano soltanto i lavoratori autonomi che operano come prestatori di servizi e non, invece, i lavoratori dipendenti che vengano distaccati.
- Nell’ambito delle disposizioni sulla semplificazione amministrativa si introduce l’idea dei moduli europei armonizzati in modo da evitare discrepanze e inefficienze negli adempimenti amministrativi necessari alla prestazione transfrontaliera dei servizi. Vengono confermate le disposizioni relative alla creazione di sportelli unici al fine di agevolare lo svolgimento degli adempimenti amministrativi e si prospetta l’istituzione di uno sportello unico europeo gestito dalla Commissione e incaricato di coordinare l’attività di quelli nazionali;
- Vengono rese meno rigide le disposizioni volte a fissare espressamente i requisiti cui le autorità nazionali non possono in alcun modo subordinare la prestazione di servizi provenienti da un altro Stato membro e quelli che possono essere ammessi soltanto nel rispetto di alcune condizioni.
- La principale innovazione prospettata dal testo elaborato dal Parlamento europeo è l’eliminazione del principio del paese di origine che aveva suscitato le critiche più severe da parte di coloro che sottolineavano i rischi relativi al livello di protezione sociale derivanti dalla direttiva. Nella proposta approvata dal Parlamento il principio del paese di origine viene sostituito da un obbligo generale, posto in capo agli Stati membri, di rispettare il diritto degli operatori economici di fornire un servizio in uno Stato membro diverso da quello in cui hanno sede. In particolare, si specifica che lo Stato membro in cui il servizio viene prestato è tenuto ad assicurare il libero accesso a un’attività di servizio e il libero esercizio della medesima sul proprio territorio. Si prevede inoltre che gli Stati membri non possano subordinare l’accesso ad un’attività di prestazione di servizi a requisiti che non rispettino i principi di non discriminazione, necessità e proporzionalità. Per di più, si prevede un ampio numero di casi (ad esempio: i servizi postali, i servizi di distribuzione e di fornitura idrica) nei quali questi divieti specifici di restrizione della libera circolazione dei servizi non si applicano.

Conclusioni
I numerosi emendamenti approvati dal Parlamento europeo cambiano profondamente il contenuto e l’impostazione della direttiva “Bolkenstein”. Si è cercato in questo modo di rispondere all’esigenza, fortemente sentita, di salvaguardare il sistema di protezione sociale degli Stati membri dai rischi potenzialmente derivanti dalla direttiva. Si prospetta così la modifica di alcune disposizioni effettivamente in grado di produrre conseguenze negative sui sistemi sociali, ma si interviene anche su aspetti la cui “pericolosità” sembra essere stata decisamente sopravalutata. In queste condizioni, ci si può domandare se il testo formulato dal Parlamento europeo non finisca con il rappresentare uno strumento sostanzialmente inefficace al fine di introdurre elementi di liberalizzazione dei servizi nell’economia europea. È comunque probabile che non tutti gli emendamenti saranno accettati dalla Commissione e dal Consiglio nel prosieguo del percorso legislativo. La proposta di direttiva torna adesso all’esame del Consiglio.


23.2.06

 

Approfondimento del mese

Newsletter n.5

La Strategia di Lisbona e il Piano Italiano per l’Innovazione, la Crescita e l’Occupazione.

Nel 2000 il Consiglio europeo ha tenuto a Lisbona una sessione straordinaria dedicata ai temi economici e sociali. In tale occasione, è stata varata la cosiddetta “Strategia di Lisbona” volta a fare dell'Europa "l'economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo, in grado di realizzare una crescita economica sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore coesione sociale", entro il 2010. Al fine di conseguire tale obiettivo sono state avviate una serie di ambiziose riforme, il cui status viene periodicamente valutato in occasione dei Consigli europei di primavera.
Dopo aver preso atto degli scarsi risultati ottenuti dal 2000, nel marzo del 2005 il Consiglio europeo ha deciso di rilanciare la Strategia di Lisbona, prevedendo che ogni Stato Membro presenti un Piano nazionale di attuazione volto a individuare dettagliatamente le riforme necessarie per avvicinarsi agli obiettivi fissati. L’elaborazione dei Piani nazionali di attuazione costituisce un elemento fondamentale delle nuove modalità concordate nell’ambito degli interventi europei per la crescita e l'occupazione. Nell’ottobre 2005, sulla base dei 24 orientamenti integrati proposti dalla Commissione europea e approvati dal Consiglio europeo, è stato elaborato dal Governo il Piano italiano di attuazione della Strategia di Lisbona denominato PICO (Piano per l’Innovazione, la Crescita e l’Occupazione). Le priorità scelte dall’Italia, tra le 24 indicate dal Consiglio europeo, sono rivolte al miglioramento della società della ricerca e conoscenza: ampliare l’area di libera scelta dei cittadini e delle imprese, ampliare l’area della ricerca e l’innovazione, rafforzare il capitale umano e l’istruzione in generale, adeguare le infrastrutture materiali e immateriali, tutelare l’ambiente.
Il PICO offre una breve panoramica delle riforme microeconomiche e macroeconomiche previste a livello nazionale per il periodo 2005-2008. In particolare, gli obiettivi previsti sono cinque:
- Ampliare l’area di libera scelta dei cittadini e delle imprese. Per garantire tale priorità sono state individuate tre categorie d’intervento quali l’allargamento del mercato competitivo, il miglioramento della legislazione (approvazione del Codice dell’Amministrazione Digitale e attuazione del Sistema Pubblico di connettività per il miglioramento delle prestazioni della Pubblica Amministrazione), il rafforzamento della base competitiva, l’istituzione di un Fondo per il rilancio delle imprese per promuovere nuovi investimenti;
- Il secondo obiettivo consiste nell’incentivazione della ricerca scientifica e tecnologica. Per il raggiungimento di questo obiettivo sono stati individuati: provvedimenti aventi validità generale diretti a riordinare il sistema di ricerca nazionale, strumenti come la concessione di incentivi di spesa in ricerca e sviluppo e misure volte a favorire l’innovazione e il trasferimento tecnologico attraverso il rifinanziamento del fondo per l’Innovazione tecnologica;
- Il terzo obiettivo è il rafforzamento dell’istruzione e della formazione del capitale umano. In particolare si prevede un’estensione dei benefici alla popolazione, con particolare riferimento ai giovani, il potenziamento del diritto allo studio e un piano di alfabetizzazione informatica;
- Il quarto obiettivo riguarda l’adeguamento delle infrastrutture materiali e immateriali;
- Il quinto obiettivo si concentra sulla tutela dell’ambiente. In quest’ambito le misure adottate fanno riferimento alla delibera CIPE sulla Strategia d’azione ambientale per lo sviluppo sostenibile in Italia e all’approvazione del Piano nazionale per le emissioni di gas serra.
Un tema ulteriore, vale a dire la sostenibilità a lungo termine delle finanze pubbliche, è stata trattata in un documento a parte, così come quelle delle questioni relative all’occupazione.
Il PICO esprime la necessità di riformulare e migliorare il contesto normativo in cui operano le imprese attraverso la riduzione dei costi amministrativi e la riforma della legge fallimentare e prevede alcune misure per migliorare i risultati nel settore dell’istruzione. Il PICO ribadisce l’impegno preso dall’Italia nei progetti Galileo, Egnos, e Sesame; per l’avanzamento dell’area tecnologica è stata prevista l’attuazione di 4 piattaforme informatiche, di 12 programmi strategici, e di 12 laboratori di ricerca pubblici/privati e di 24 distretti tecnologici.
Il Piano italiano è stato costruito prendendo come mission l’obiettivo di ricreare fiducia nella ricerca dello sviluppo e dell’occupazione, innestando nuovi provvedimenti e procedimenti per stimolare la competitività, la ricerca e l’innovazione.
Le risorse finanziarie pubbliche messe a disposizione del Piano sono già state previste nei bilanci di cassa del 2005 e in quelli di competenza per il triennio 2006-2008; le dotazioni aggiuntive per la politica di coesione comunitaria concorrono al finanziamento.
Nella Strategia di Lisbona la responsabilità dell’attuazione era stata posta interamente a carico degli Stati membri. Con il processo di rilancio, tale responsabilità è stata, almeno parzialmente, spostata sull’Unione in un ottica di condivisione, secondo il principio della sussidiarietà, ripartendo così i compiti tra le istituzioni dell’Unione e le autorità degli Stati membri.
Nel gennaio scorso la Commissione europea, nella sua prima
relazione annuale sullo stato d’avanzamento di questo nuovo partenariato con gli Stati membri, ha sottolineato come l’Italia abbia presentato un Piano nazionale non del tutto adeguato a causa di una trattazione poco approfondita degli strumenti individuati per accrescere i tassi di occupazione e ridurre il divario occupazionale tra le regioni. La Commissione, inoltre, ha incoraggiato le autorità italiane ad accrescere i loro sforzi per assicurare la sostenibilità delle finanze pubbliche e l’adozione di misure incisive e specifiche per promuovere la concorrenza (nelle industrie e nei servizi di rete), così come l’adozione di un approccio più generale diretto ad implementare l’offerta di lavoro e i tassi di occupazione intervenendo sulle disparità regionali.
La relazione della Commissione ha focalizzato i punti su cui l’Italia dovrà concentrare i suoi sforzi, ovvero l’ampliamento dell’area di libera scelta dei cittadini e delle imprese (attraverso la liberalizzazione dei mercati dell’energia e dei servizi), l’incentivazione della ricerca scientifica e dell’innovazione tecnologica, il rafforzamento dell’istruzione e della formazione, l’adeguamento delle infrastrutture, la tutela dell’ambiente.


 

Approfondimento mese

L’attuazione in Italia delle normative comunitarie: la legge comunitaria del 2005

Cosa è la legge comunitaria
È ben noto che le politiche dell’Unione europea incidono ormai in maniera assai significativa sugli ordinamenti degli Stati membri, sulle attività delle pubbliche amministrazioni e sulle condizioni dei privati. Nell’esercizio delle varie competenze ad esse attribuite, le istituzioni europee adottano un grande numero di atti normativi che vincolano gli Stati membri e pongono l’esigenza di una loro corretta e puntuale attuazione. Questa esigenza è particolarmente pressante per le direttive comunitarie, che lasciano un significativo margine di intervento ai legislatori degli Stati membri e richiedono l’adozione di normative nazionali o regionali di attuazione dotate di una certa complessità.
L’Italia ha, per molti anni, affrontato i problemi legati alla necessità di garantire un’attuazione corretta e puntuale delle direttive comunitarie in maniera inefficiente e non sistematica; i risultati derivanti da questa impostazione sono stati negativi. Infatti, l’Italia è stata a lungo uno degli Stati membri più frequentemente oggetto di condanne per mancato adeguamento agli obblighi comunitari.
La situazione è sensibilmente migliorata con la creazione dell’istituto della “legge comunitaria annuale”. La legge comunitaria è il principale strumento di attuazione della normativa dell’Unione europea; essa è prevista e disciplinata dalla Legge 4 febbraio 2005, n.11 “Norme generali sulla partecipazione dell’Italia al processo normativo dell’Unione europea e sulle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari” che ha sostituito la Legge 9 marzo 1989, n.86 (la cosiddetta “Legge La Pergola”). Il fatto che tutta l’attività connessa alla predisposizione delle norme di attuazione si concentri in un dato periodo di tempo, in vista dell’adozione di un unico atto legislativo, contribuisce ad assicurare una corretta e tempestiva attuazione delle normative comunitarie.
Come funziona il sistema della legge comunitaria
Il Ministro per le politiche comunitarie, in collaborazione con le amministrazioni interessate e sulla base degli indirizzi espressi dal Parlamento e delle osservazioni delle Regioni, predispone il disegno di legge comunitaria.
Il disegno di legge viene presentato al Parlamento entro il 31 gennaio di ogni anno. In esso, il Governo riferisce al Parlamento sullo stato di conformità dell’ordinamento interno al diritto comunitario e fornisce l’elenco delle direttive attuate o da attuare.
La legge comunitaria garantisce il tempestivo adeguamento dell’ordinamento nazionale a quello comunitario:
- Mediante modifiche a norme vigenti che siano in contrasto con obblighi comunitari;
- Mediante disposizioni che diano attuazione diretta alla normativa comunitaria, che dispongano una delega al Governo, o che autorizzino il Governo a darvi attuazione – ove possibile – per via amministrativa o tramite regolamento di delegificazione;
- Mediante disposizioni recanti i principi fondamentali per l’attuazione da parte delle Regioni e delle Province autonome degli atti comunitari nelle materie di propria competenza legislativa;
- Mediante disposizioni che garantiscano l’intervento legislativo dello Stato ai fini dell’esercizio dei poteri sostitutivi in caso di inadempienza da parte delle Regioni
La legge comunitaria per il 2005
Il 18 gennaio 2006 il Senato ha approvato definitivamente la legge comunitaria per il 2005 recante “Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee”. La legge dà attuazione ad un notevole numero di atti comunitari. Alcuni di questi sono menzionati direttamente nel testo della legge che contiene le disposizioni necessarie a dare loro attuazione. Nella gran parte dei casi, comunque, le direttive comunitarie da attuare sono elencate negli allegati alla legge. Gli allegati A e B contengono l’elenco delle direttive da attuare con delega al Governo e, in particolare, l’allegato B enumera quelle che riguardano argomenti più sensibili sul piano politico-istituzionale, per le quali è ritenuta necessaria la consultazione delle commissioni parlamentari in vista dell’adozione dei decreti legislativi.
Alcuni tra i principali settori su cui la legge comunitaria 2005 interviene dando attuazione alle relative direttive sono:
- Le condizioni per la circolazione dei cittadini dei paesi terzi. La Direttiva 2004/114 regolamenta, uniformandole e semplificandole, le condizioni di ammissione dei cittadini di Paesi terzi negli Stati membri per motivi di studio, scambio di alunni, tirocinio non retribuito o volontariato;
- Le pratiche commerciali sleali e protezione dei consumatori. La Direttiva 2005/29 regolamenta e uniforma i divieti delle pratiche commerciali sleali (azioni ingannevoli, omissioni ingannevoli e pratiche commerciali aggressive) al fine di eliminare ostacoli alla concorrenza e di assicurare un elevato livello di tutela dei consumatori;
- Le pari opportunità uomo – donna. La Direttiva 2004/113 estende e definisce il divieto di discriminazione basata sul sesso, nonché la validità del principio della parità di trattamento, anche per quanto riguarda l’accesso a beni e servizi e alla loro fornitura;
- Il riconoscimento delle qualifiche professionali. La Direttiva 2005/36 consolida e migliora, alla luce dell’esperienza applicativa, la disciplina in materia di riconoscimento delle qualifiche professionali; la Direttiva in questione semplifica la materia anche perché sostituisce una serie di direttive specificamente rivolte a singole professioni;
- La lotta al riciclaggio dei proventi del terrorismo. La Direttiva 2005/60 disciplina gli strumenti giuridici per prevenire l’uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di terrorismo. La Direttiva modifica e aggiorna, alla luce delle nuove raccomandazioni del GAFI (l’organismo internazionale operante in seno all’OCSE che si occupa di lotta al riciclaggio), la normativa del 1991 che si concentrava prevalentemente sui proventi del traffico degli stupefacenti.
A causa della continua produzione legislativa a livello europeo, l’approvazione della legge comunitaria 2005 non esaurisce gli sforzi che devono essere compiuti per assicurare una corretta e tempestiva attuazione delle normative comunitarie in Italia. Il Consiglio dei Ministri del 24 gennaio 2006 ha così avviato, su proposta del Ministro per le Politiche Comunitarie, l’esame preliminare dello schema di disegno di legge comunitaria 2006.

 

Approfondimento del Mese di Gennaio

Newsletter n.3
Il Programma di lavoro del Consiglio dell’Unione europea per il 2006

Il 1° gennaio 2006 ha avuto inizio il semestre austriaco di Presidenza dell’Unione europea cui seguirà, dal 1° luglio 2006, quello finlandese. I Governi dei due Paesi hanno elaborato, sulla base delle priorità del programma pluriennale 2004-2006, il Programma di lavoro del Consiglio per il 2006 che individua i principali obiettivi e le priorità da seguire nell’azione di quest’importante istituzione politica comunitaria.
Le due Presidenze intendono operare in stretto coordinamento al fine di contribuire al conseguimento di alcuni obiettivi generali: il consolidamento del benessere sociale ed economico, la tutela dell’ambiente, la garanzia di libertà e sicurezza per i cittadini europei, il rafforzamento del ruolo dell’Unione europea nel mondo.
Il Programma di lavoro è un documento piuttosto dettagliato e articolato che passa in rassegna i numerosi temi dell’agenda politica europea facendo riferimento ai singoli provvedimenti che risultano in corso di elaborazione e adozione. Si tratta dunque di un documento che affronta le questioni più varie dal coordinamento delle politiche economiche al completamento del mercato interno, dalle politiche sociali all’ambiente, dal settore giustizia affari interni alle relazioni esterne. È utile selezionare i temi principali.
Il dibattito sul Futuro dell’Europa e la Costituzione
In seguito all’esito negativo delle consultazioni referendarie in Francia e nei Paesi bassi, il Consiglio europeo ha deciso, nella riunione del giugno 2005, di iniziare una “pausa di riflessione” sul Futuro dell’Europa portando avanti il dibattito sia a livello europeo sia a livello nazionale. Nella stessa riunione, il Consiglio europeo ha deciso di svolgere una valutazione di questo dibattito nella prima metà del 2006. Le due Presidenze intendono dunque fare il punto della situazione in seno al Consiglio europeo del giugno 2006 allo scopo di chiarire le prospettive future della Costituzione e di trovare un accordo su come procedere. Il Cancelliere austriaco Schuessel e il Ministro degli esteri Plassnik hanno in più occasioni dichiarato pubblicamente di volere impegnare la Presidenza a individuare le soluzioni più adeguate per superare l’impasse nel processo di ratifica della Costituzione determinato dai no francese e olandese. La determinazione del governo austriaco non sembra però essere pienamente condivisa da quello finlandese che gli succederà alla Presidenza dell’Unione. Costruire un consenso sufficientemente ampio attorno alle possibili soluzioni concernenti la Costituzione non sarà facile. Ciò è mostrato anche dal fatto che la proposta del Presidente francese Chirac di sottoporre alla ratifica soltanto alcune parti della Costituzione ha sollevato le obiezioni della cancelliere tedesca Merkel, secondo la quale si rischierebbe così di compromettere il delicato equilibrio del testo costituzionale. Ad ogni modo, le dichiarazioni del governo austriaco hanno fatto tornare il tema della Costituzione nell’agenda politica europea dopo che la Presidenza inglese lo aveva sostanzialmente accantonato.
Il bilancio comunitario
Il Consiglio europeo di dicembre 2005 ha raggiunto un accordo sulle prospettive finanziarie per il periodo 2007-2013. Il compromesso raggiunto a livello politico deve però essere tradotto in strumenti giuridici specifici attraverso la conclusione di un accordo interistituzionale tra Consiglio, Commissione e Parlamento nonché attraverso l’adozione dei necessari atti comunitari. Il Programma di lavoro del Consiglio chiarisce che lo svolgimento dei negoziati sull’accordo interistituzionale costituirà una priorità assoluta al fine di giungere ad una conclusione prima possibile. Si tratta comunque di un passaggio politico-istituzionale non privo di difficoltà, soprattutto per quanto riguarda il necessario assenso del Parlamento europeo che cercherà verosimilmente di ritoccare al rialzo le previsioni di spesa. I primi segnali in tal senso sono già arrivati, dal momento che la commissione bilancio del Parlamento europeo ha elaborato un progetto di risoluzione in cui si critica apertamente il compromesso raggiunto all’interno del Consiglio europeo, giudicato eccessivamente “al ribasso”. Il progetto di risoluzione prospetta apertamente la possibilità che il Parlamento eserciti il proprio diritto di veto al riguardo.
Queste possibili difficoltà renderanno necessario un forte impegno da parte delle Presidenze austriaca e finlandese allo scopo di definire un compromesso accettabile. L’obiettivo dichiarato all’interno del Programma di lavoro è giungere alla conclusione dell’accordo interistituzionale entro giugno 2006 e all’adozione di tutti gli specifici atti comunitarie entro la fine dell’anno.
Economia, competitività e mercato interno
I temi economici sono ovviamente al centro delle priorità delle Presidenze austriaca e finlandese definite nel Programma di lavoro. In primo luogo, si ribadisce l’impegno a fare progredire l’attuazione dell’Agenda di Lisbona in tutte le aree prioritarie. Nell’ambito del coordinamento delle politiche macro-economiche, inoltre, si prospetta la possibilità di aggiornare gli Indirizzi di massima per le politiche economiche alla luce dei programmi di azione nazionali elaborati dagli Stati membri.
In considerazione dell’importanza che il settore dei servizi riveste per l’economia europea, le due Presidenze si impegnano a portare a compimento i negoziati sulla direttiva sui servizi (la cd. “Direttiva Bolkenstein”) cercando di tenere conto delle preoccupazioni espresse dal Parlamento europeo e da alcuni Stati membri. Durante l’incontro per l’apertura della Presidenza austriaca il cancelliere Schuessel ha ribadito l’impegno del proprio governo verso l’approvazione della direttiva ed ha espresso la convinzione che sarà possibile raggiungere un compromesso equilibrato tra i diversi interessi in gioco. Questo obiettivo potrebbe risultare piuttosto ambizioso considerate le dure critiche espresse in merito alla proposta della Commissione sia da alcuni Stati membri sia dalla commissione mercato interno del Parlamento europeo. Il Governo austriaco potrebbe tentare di superare queste resistenze riducendo l’ambito di applicazione della direttiva escludendone alcuni settori. Le possibilità di giungere all’approvazione della direttiva potrebbero risultare accresciute dal cambio di governo in Germania con l’ingresso del partito di centro-destra CDU/CSU alla guida della coalizione.
Il Ministro austriaco delle Finanze Grasser ha infine dichiarato di voler riformare la normativa sull’IVA al fine di meglio combattere l’evasione che sottrae al gettito circa 60 miliardi l’anno a livello europeo. In teoria dovrebbe trattarsi di un obiettivo largamente condiviso dagli altri Stati membri, ma non si possono escludere difficoltà neanche su questo fronte. La materia è, infatti, soggetta all’unanimità e potrebbe non essere agevole costruire un consenso così ampio. Da anni si cerca, invano, di negoziare per cambiare l’attuale sistema IVA, proprio alla luce della nota facilità con cui si possono compiere frodi.
A differenza di quanto fatto da Tony Blair all’inizio della Presidenza inglese, che aveva dichiarato di voler contribuire a rendere il modello socio-economico europeo più adeguato e moderno ottenendo però risultati piuttosto magri, la nuova Presidenza austriaca ha scelto di non lanciare sfide così alte. Le difficoltà, comunque, non mancheranno. La priorità assoluta, dettata dalla necessità di far funzionare le politiche dell’Unione, sarà dare attuazione all’accordo sul bilancio: potrebbe non essere facile vista la posizione critica del Parlamento. Non molto agevole sarà, peraltro, giungere all’adozione della “direttiva Bolkestein” o alla riforma del sistema IVA. L’obiettivo più difficile da conseguire, sempre se il Governo austriaco vorrà davvero impegnarsi in tal senso, potrebbe essere quello di fare rivivere la Costituzione europea “uccisa” dai “no” francese e olandese.

23.12.05

 

Prospettive Finanziarie 2007-2013


Che cosa sono
Le "Prospettive Finanziarie" sono un meccanismo di programmazione pluriennale delle spese dell'Unione Europea e stabiliscono un tetto di spesa per ciascuna azione e per ogni anno, allo scopo di contenere l'aumento totale delle spese e verificarne l’andamento. I tre attori principali che intervengono nella definizione delle Prospettive Finanziarie sono il Consiglio, la Commissione ed il Parlamento europeo.
Il bilancio pluriennale indicativo si basa su alcuni principi:
- il periodo di programmazione (il prossimo, 2007-13, sarà di 7 anni, poi si passerà a periodi quinquennali);
- le “rubriche”, ossia i capitoli di spesa del bilancio;
- le “direttrici”, ossia i massimali di spesa di ogni rubrica;
- il massimale complessivo di spesa, in % del RNL.
Le entrate sono regolate dal sistema delle risorse proprie, cioè i versamenti che spettano di diritto all’UE da parte degli Stati Membri in proporzione al proprio peso in termini di RNL e sono: le Risorse proprie tradizionali (prelievi agricoli e dazi doganali), la Risorsa Iva e la Risorsa PNL (o Quarta Risorsa).
Le uscite dipendono dalle spese per le politiche dell’UE: ovviamente, i flussi sono tali che, rispetto a quanto versato, alcuni Stati Membri ricevono di più (percettori netti) e altri meno (contribuenti netti).

Il dibattito sulle Prospettive finanziarie 2007-2013
Il dibattito sulle prospettive finanziarie 2007-2013 è iniziato con le
proposte presentate dalla Commissione Prodi il 10 febbraio 2004 e poi fatte proprie dalla Commissione Barroso.
I punti qualificanti delle proposte sono:
-
Strategia di Lisbona e Göteborg: ossia grande enfasi su competitività, ricerca, innovazione e sviluppo sostenibile;
- Stanziamenti per impegno pari a 1.025 Mrd di €, corrispondenti a 928 Mrd di pagamenti;
- Massimale degli stanziamenti fissato all’1,24% del RNL comunitario, per una spesa media annuale effettiva pari all’1,14% del RNL.
Sono proposte 5 nuove rubriche al posto delle 7 precedenti (1 Agricoltura, 2 Azioni strutturali, 3 Politiche interne, 4 Azioni esterne, 5 Amministrazione, 6 Riserve, 7 Pre-adesione):
1.a Competitività (ricerca, formazione, reti)
1.b Coesione (convergenza, cooperazione)
2. Risorse naturali (Pac, Sviluppo Rurale, Pesca, Ambiente)
3. Cittadinanza, libertà, sicurezza e giustizia (frontiere, immigrazione, asilo, diritti)
4. UE partner globale (Relazioni esterne, cooperazione allo sviluppo, aiuti preadesione)
5. Amministrazione

In seno al Parlamento, si è insediata il 14 ottobre 2004 la
commissione temporanea sulle sfide ed i mezzi finanziari dell'Unione allargata nel periodo 2007-2013 con il compito di difendere le priorità del Parlamento nei negoziati; definire le priorità politiche del Parlamento per le future prospettive finanziarie, sia a livello legislativo che in termini di bilancio; proporre, per le future prospettive finanziarie, una struttura in linea con dette priorità; valutare le risorse finanziarie da destinare alla spesa dell'Unione europea nel periodo 2007-2013; proporre una ripartizione indicativa delle risorse tra le varie rubriche delle prospettive finanziarie e all'interno delle stesse, conformemente alle priorità e alla struttura proposte.

Il negoziato ha incontrato da subito differenti difficoltà.
Il “blocco dei sei” ovverosia Francia, Germania, Regno Unito, Olanda, Svezia ed Austria (ossia i contribuenti netti al bilancio UE, con l’esclusione di Italia, Belgio e Lussemburgo) si sono dichiarati contrari ad un massimale delle spese UE superiore all’1% del RNL. Si è poi sottolineata la questione degli squilibri finanziari tra gli Stati Membri e la connessa riduzione del rimborso al Regno Unito Regno Unito; ma soprattutto, si richiedeva una minore spesa complessiva rispetto a quanto proposto dalla Commissione.
Tuttavia un forte taglio alla spese avrebbe significato un indebolimento delle politiche strategiche per l’agenda di Lisbona e di Goteborg: competitività, ricerca, coesione, sviluppo rurale.
Nella riunione del 16-17 giugno 2005 è stata discussa la
proposta della presidenza lussemburghese.I temi dominanti del dibattito erano la dotazione finanziaria per la PAC (a fronte di quella per l’innovazione) e la “correzione britannica” che Blair si è rifiutato di ridiscutere. La ferma opposizione del Regno Unito (e dell’Olanda) ha reso impossibile raggiungere un accordo determinando il fallimento dei negoziati.
Con l’insediamento della presidenza di turno britannica, il negoziato di fatto si è arrestato creando un clima di incertezza, alimentato dall’assenza di una leadership di stampo europeista.
Un nuovo impulso è arrivato dal Presidente della Commissione Barroso che il 20 ottobre 2005 ha formulato
5 proposte per il rilancio del negoziato per poter raggiungere un accordo entro dicembre
1- Almeno 1/3 del bilancio per crescita e occupazione (Almeno il 60% dei fondi per la coesione da dedicare agli obiettivi di Lisbona (competitività, ricerca, innovazione);
2- Ammortizzare gli effetti della globalizzazione (Con un fondo ad hoc per riconversione, riqualificazione professionale, formazione, da attivare nei casi di crisi accertata);
3- Consolidare la riforma della PAC (Pieno rispetto dell’accordo del 2002 e della riforma Fischler, ma 1 punto % in più di modulazione a partire dal 2009, per trasferire fondi dalla Pac allo sviluppo rurale);
4- Una roadmap per la riforma a lungo termine del bilancio (2008: revisione di medio termine per PAC e strategia di Lisbona; 2009: Libro bianco sulla revisione del bilancio);
5- Più controllo democratico e coerenza nell’azione esterna (Aumento del Fondo Europeo di Sviluppo e suo inglobamento nel bilancio generale dell’UE).
Dopo la proposta iniziale del
5 dicembre, è con il Consiglio europeo del 15-16 dicembre 2005 che è stato finalmente raggiunto l’accordo sulle nuove prospettive finanziarie.

Le conclusioni del Consiglio Europeo del 15-16 dicembre 2005
Gli stanziamenti di impegno 2007-2013 per l’UE saranno pari a 862,363 miliardi di € in stanziamenti d'impegno per il periodo 2007-2013 (quindi un risparmio di 10 miliardi rispetto alla fallita proposta lussemburghese, di ben 132 miliardi rispetto alle proposte della Commissione, di 113 miliardi rispetto all’indicazione dell’Europarlamento), ovvero a 1,045% del Pil comunitario, rispetto all'1,03% della precedente proposta britannica e all'1,06% del testo della presidenza lussemburghese.
Il “rebate” britannico verrà tagliato di 10,5 miliardi sul periodo di sette anni e riguarderà esclusivamente la politica agricola comune, scorporando invece tutte le spese legate all'allargamento e dal 2009 inizierà a ridursi progressivamente.
E’ stata inserita la “clausola di revisione” in virtù della quale la Commissione è chiamata ad intraprendere una completa revisione degli aspetti della spesa comunitaria, dalla PAC, al resto del bilancio e fino anche allo sconto britannico, da effettuarsi nel 2008-2009, che permetterà di prendere decisioni, all’unanimità, per una revisione di medio periodo e per le prossime prospettive finanziarie.
L’accordo assegna 5,3 miliardi di euro per i fondi regionali dei nuovi Stati Membri (modificando la precedente proposta britannica che prevedeva un taglio di 12, 3 miliardi), tra i quali spicca la Polonia che riceve 2,3 miliardi.
Slovacchia, Lituania e Bulgaria beneficeranno di 1,4 miliardi per la disattivazione di impianti nucleari.
La Spagna riceve 2 miliardi di euro extra per la ricerca e lo sviluppo mentre l’Austria riceve 900 milioni per lo sviluppo rurale.

La situazione per l'Italia
L’Italia chiude con un saldo netto inferiore allo 0,35% del Pil (all’inizio delle trattative e ra allo 0,38%) e con un totale di fondi aggiuntivi pari 1,9 miliardi di euro.
Il pacchetto italiano è così composto: 500 milioni di euro per lo sviluppo rurale; un aumento del fondo di coesione di 1,4 miliardi; la Sardegna (in phasing-in) avrà 251 miliardi e la Basificata (in phasing-out) 111 miliardi;alle Regioni del Centro-Nord spettano 210 miliardi e a quelle del Centro-Sud 828 miliardi; il totale dei fondi di coesione si attesterà cosi sui 25,7 miliardi.
Fini e Berlusconi si dichiarano soddisfatti dell'intesa raggiunta e dei contenuti per quanto riguarda l'Italia. "Siamo riusciti ad estenderli a regioni del nord ed alla Basilicata". Questa voce di bilancio, secondo quanto reso noto dal premier, ammonta a 1900 milioni di euro. Berlusconi ha poi affermato di considerare positivamente anche i fondi per la ricerca e per i nuovi Stati membri dell'UE, ricordando l'introduzione della clausola che consente la revisione dell'accordo a metà percorso. In data 21 dicembre 2005 il ministro degli Esteri, Gianfranco Fini, ha illustrato i particolari dell'accordo a Montecitorio davanti alle commissioni Affari Esteri, Affari Comunitari, Bilancio, e Politiche dell'Unione Europea del Senato e della Camera, riunite in sessione congiunta.

Note
Ora si attende il veto dell’Europarlamento tramite la procedura di co-decisione sull’intesa siglata a Bruxelles che è stata illustrata dal Premier britannico alla
Conferenza dei Presidenti aperta a tutti deputati.
Anche se l’intesa raggiunta avrà bisogno di nuove future rivisitazioni e riforme, certo è che la chiusura positiva del summit di Bruxelles evita un altro fallimento dopo la mancata ratifica referendaria franco-olandese sulla ratifica della Costituzione europea e il rigetto della proposta della presidenza lussemburghese.
Tuttavia, l’entità del bilancio, pari a poco più di un punto percentuale difficilmente si concilia con le ambiziose proposte dalle agende di Lisbona e Goteborg per un’economia più dinamica, innovativa e sostenibile.

Scarica i documenti del Consiglio del 15-16 dicembre

30.11.05

 

approfondimento del mese

L’APPROFONDIMENTO

Il sistema REACH di registrazione, valutazione, autorizzazione e restrizione delle sostanze chimiche

L’attuale normativa comunitaria in materia di sostanze chimiche, che si fonda sulla distinzione tra le “nuove sostanze” soggette a controlli piuttosto rigorosi e le “sostanze esistenti” sottoposte invece a verifiche assai meno stringenti, mostra ormai limiti evidenti.
In primo luogo, essa non garantisce un adeguato livello di protezione dell’ambiente e della salute perché il meccanismo di raccolta delle informazioni sulle sostanze esistenti è carente e perché le procedure per l’assunzione delle eventuali misure di gestione del rischio sono farraginose. In secondo luogo, essa non risulta economicamente efficiente perché le procedure sono in gran parte incentrate sul ruolo delle autorità nazionali e, di conseguenza, gli aggravi per gli operatori economici risultano moltiplicati. In questo contesto la Commissione ha avviato, con la pubblicazione nel febbraio 2001 di un apposito Libro bianco, un processo di radicale riforma della disciplina vigente. La Commissione ha dunque proposto l’adozione di un regolamento volto ad istituire il sistema REACH (Registration, Evaluation, Authorization of Chemicals) concernente la registrazione, la valutazione, l’autorizzazione e la restrizione delle sostanze chimiche, nonché a creare un’Agenzia europea incaricata di gestire gran parte delle relative procedure. Dopo un lungo e difficile confronto, che ha coinvolto un notevole numero di soggetti interessati, la proposta della Commissione è stata approvata, con molti emendamenti, in prima lettura dal Parlamento europeo.

La proposta, così come emendata dal Parlamento europeo, è fondata su quattro elementi fondamentali: a) la registrazione delle sostanze; b) la valutazione delle sostanze; c) l’autorizzazione per le sostanze ad elevata pericolosità; d) le restrizioni.
a) Registrazione. Si tratta della novità più significativa: in luogo dell’attuale sistema in base al quale le “nuove sostanze” sono soggette a notifica quando vengono immesse sul mercato in quantità superiori a 10 Kg, si prevede un obbligo generale di registrazione per le sostanze fabbricate o importate in quantità superiore ad 1 tonnellata. Occorre dunque presentare una richiesta di registrazione all’Agenzia presentando un fascicolo tecnico contenente informazioni sulla sostanza; per quantità superiori a 10 tonnellate è necessario includere anche una relazione dettagliata sulla sicurezza chimica.
Gli emendamenti del Parlamento europeo hanno modificato il funzionamento della procedura di registrazione cercando di bilanciare l’esigenza di semplificazione per le imprese e quelle di tutela dell’ambiente e della salute. L’obbligo di registrazione è inderogabile per le sostanze prodotte in quantitativi superiori a 1.000 tonnellate e per quelle classificate come cancerogene, mutagene o tossiche. Per le quantità comprese tra 1 e 10 tonnellate, l’intera procedura si applica solo per le sostanze più pericolose. Per le sostanze prodotte o importate in quantitativi compresi tra 10 e 100 tonnellate, la procedura è semplificata. Viene inoltre introdotto il principio “una sostanza , una registrazione” che permette la condivisione dei dati tra le imprese al fine di ridurre i costi e le analisi.
b) Valutazione. La valutazione dei fascicoli, che viene condotta dalle autorità dello Stato membro nel quale ha luogo la produzione o è stabilito l’importatore, può essere finalizzata, tra l’altro, ad accertare la conformità delle registrazioni alle pertinenti prescrizioni. Si prevede inoltre una procedura per la valutazione delle sostanze volta a far intervenire le autorità in presenza di rischi per la salute pubblica o per l’ambiente. L’Agenzia ha il compito di stabilire l’ordine delle priorità delle sostanze da valutare, mentre le autorità degli Stati membri provvedono, sulla base di tale ordine, a svolgere dei programmi di valutazione.
c) Autorizzazione. La procedura di autorizzazione si applica a tutte le sostanze particolarmente pericolose ai sensi degli allegati. Il richiedente deve dimostrare, in seno ad un procedimento che coinvolge la Commissione e l’Agenzia, che i rischi legati all’uso delle sostanze in questione sono adeguatamente controllati o che sono compensati dai vantaggi di natura socioeconomica. Il Parlamento ha introdotto un criterio restrittivo prevedendo che l’autorizzazione sia rilasciata unicamente se non esistono sostanze o tecnologie alternative adeguate.
d) Restrizione. La restrizione rappresenta un meccanismo di salvaguardia per assicurare che le sostanze eventualmente non soggette ai controlli derivanti dalle altre procedure possano comunque essere sottoposte alle necessarie verifiche. Gli Stati membri e la Commissione sono competenti per proporre le misure di restrizione; l’adozione di queste ultime, che si verifica laddove venga dimostrata la presenza di rischi inaccettabili per la salute o per l’ambiente, può condurre alla limitazione, fino al divieto assoluto, di fabbricazione, uso ed immissione sul mercato delle sostanze.
Gli utenti a valle. Sono infine previsti alcuni, seppur circoscritti, obblighi per gli utenti a valle, vale a dire qualsiasi soggetto, diverso dai fabbricanti, dagli importatori, dai distributori e dai consumatori che utilizzi una sostanza nell’esercizio delle proprie attività industriali o professionali (ad esempio, le imprese conciarie rientrano verosimilmente in questa nozione). Gli utenti a valle sono tenuti a predisporre relazioni sulla sicurezza chimica per gli usi che non rientrano tra quelli definiti nelle apposite schede trasmesse loro dai fornitori. Tuttavia, tale obbligo non sussiste:
- se gli utenti a valle adottano misure di gestione dei rischi più severe di quelle raccomandate dal loro fornitore;
- per le sostanze considerate, ai sensi dei pertinenti allegati, non pericolose;
- nei casi in cui lo stesso fornitore non era tenuto a predisporre una relazione sulla sicurezza chimica.
Gli utenti a valle devono inoltre comunicare all’Agenzia, inviando una breve scheda informativa, se utilizzano le sostanze al di fuori dalle condizioni definite dal fornitore.

Il progetto di regolamento elaborato della Commissione, così come emendato dal Parlamento europeo, sembra in grado di risolvere molte carenze dell’attuale normativa. L’instaurazione di un obbligo generale di registrazione e la previsione di diversi meccanismi di raccolta delle informazioni dovrebbero consentire di accertare i possibili rischi derivanti dalle “sostanze esistenti”, rendendo peraltro meno complesse le procedure per le “nuove sostanze”. Inoltre, la piena “comunitarizzazione” dei procedimenti è suscettibile di aumentare l’efficienza, evitando gli aggravi per le imprese derivanti dalle differenti regole amministrative vigenti negli Stati membri. Le modifiche apportate dal Parlamento europeo sembrano bilanciare adeguatamente le diverse esigenze di tutelare l’ambiente e la salute pubblica e, al tempo stesso, di semplificare i procedimenti per non aggravare le imprese.
Il progetto di regolamento deve adesso passare all’esame del Consiglio dove sarà necessario trovare un compromesso tra i diversi interessi degli Stati membri. Nell’eventualità – assai probabile – che il Consiglio emendi l’attuale versione del testo, il provvedimento dovrà tornare al Parlamento per una seconda lettura. È insomma probabile che il percorso per l’approvazione definitiva del regolamento durerà ancora molti mesi.

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